lunedì 29 aprile 2013

CREATIVITA'


CREATIVITA’


ascolta file AUDIO:

“Buongiorno S., come stai?”
“Bene grazie anche se, sai com’è, son tempi duri…”
Il mio amico S. è un giovane di talento. Simpatico,intelligente, competente. E disoccupato.
Mi racconta di come ha perso il lavoro a causa della azienda che ha chiuso e di come si sia rivelata inconcludente la ricerca di un nuovo posto, nonostante il suo brillante curriculum.
“In molti mi dicono di lasciare l’Italia ma io – mi dice – adoro questo straordinario paese e vorrei continuare a cercare lavoro qui”.


Caro S., temo che la “ricerca di un lavoro” per come l’abbiamo intesa fino ad oggi si rivelerebbe una logorante frustrazione e che finirebbe solo per debilitarti fisicamente e psicologicamente.
Ma c’è una cosa che puoi fare: inventartene uno.
Inventarsi un lavoro implica attivarsi e mettere in moto un processo creativo che determinerà una serie di conseguenze ed eventi che rendono molto più probabile l’approdo a qualche risultato, rispetto alla mera ricerca di un “posto” che oggi ha alte probabilità di rivelarsi inconcludente.
“Creatività, mi dici… ma io sono un tecnico che con la creatività ha avuto poco a che fare. creativi si nasce!”
Ecco – mi dico- un altro luogo comune, un mito da sfatare.

Purtroppo della creatività si hanno spesso concetti limitati e parziali, quando non completamente inappropriati.

Spessissimo - nella concezione comune - la creatività si traduce nel rompere (si noti bene: non nel superare, ma nel trasgredire) le regole, ed è un fatto privato che può rendere la vita più gratificante appagando il narcisismo individuale.
Altre volte si risolve in un hobby da coltivare senza troppe pretese nel tempo libero, o magari coincide con la capacità di destreggiarsi astutamente in campo lavorativo.
Insomma: nella pratica quotidiana, per i nostri connazionali, la creatività non è altro che una versione più sofisticata dell’arte di arrangiarsi.
Non c’è dunque da meravigliarsi se la prima grande ricerca sull’idea che gli italiani nel loro complesso hanno della creatività, svolta da Eurisko nel 2004, restituisce percezioni superficiali e contraddittorie: per un intervistato su due la creatività è importante per moda (60% di risposte positive) e cucina (43%). Per poco più di uno su venti (6% di risposte positive) è importante per l’economia.

Storicamente del tutto differenti l’attenzione e l’atteggiamento di altri paesi, e specie del mondo anglosassone, in primis gli Stati Uniti ma non solo, verso l’idea stessa di creatività intesa come motore del progresso umano: la preziosa e peculiare attitudine degli individui a scovare soluzioni nuove, a scoprire elementi e connessioni sconosciute, a sperimentare e a inventare.
  


Al concetto di creatività sono da tempo associati studi e applicazioni molto pragmatiche, ben lungi dalla ingenua visione di “genio e sregolatezza”.
Agli inizi del secolo scorso, nel 1906, il matematico francese Henri Poincaré, pubblica su “Scienza e Metodo” uno dei primi, e forse ancor oggi la più convincenti studi sulla “creatività”. Pochi anni dopo è il tedesco Wolfgang Köhler, uno dei fondatori della Psicologia della Gestalt, a coniare il termine insight per definire l’illuminazione creativa e a intuirne la natura istantanea e inattesa, ma non certo spontanea e “gratuita”.
Innumerevoli studi e pubblicazioni sono da allora seguite e oggi è ormai ampiamente consolidata una definizione secondo la quale la creatività consiste non tanto nell’ inventare nuove forme o concetti quanto nel

TROVARE CONNESSIONI NUOVE E UTILI
TRA ELEMENTI DISTANTI TRA LORO



Ciò fa oltretutto della creatività  un importantissimo fattore di adattamento e, come tale, costituisce un vantaggio evolutivo oltre che delle specie animali, per gli esseri umani, e si traduce in vantaggio competitivo per le aziende e le nazioni.

Creativi non si nasce, si può invece diventare. E’ dimostrato scientificamente.
Ma attenzione: senza formazione di base e senza preparazione specialistica è impossibile per chiunque immaginare, inventare, e dunque produrre innovazione di valore.
Non crediate che mostri sacri come Michelangelo, Leonardo o Darwin siano giunti ai loro straordinari risultati perché baciati dal soffio divino. Dalle loro biografie, come da tutti coloro che hanno ottenuti risultati creativi, emerge una dedizione e una abnegazione proporzionate alle loro leggendarie intuizioni.

È il Nobel Herbert Simon, padre dell’intelligenza artificiale, a formulare la Teoria dei dieci anni: non si possono ottenere risultati originali in qualsiasi ambito, dagli scacchi alla fisica quantistica, se non dopo almeno un decennio di costante applicazione, e dopo aver interiorizzato almeno cinquantamila chunks (letteralmente: “grossi pezzi”) di informazione.
Creatività, cultura e competenza dunque sono intimamente intrecciate non solo negli studi che indagano le dimensioni dell’ICC (l’industria culturale e creativa). Sono intrecciate perché l’una alimenta l’altra.
La capacità di pensare in modo creativo e di inventare qualcosa di nuovo non è un dono del cielo: è una conquista dell’individuo che decide di mettere a frutto un proprio grande o piccolo talento: studia, impara, sperimenta con tenacia ostinata, dedizione e passione. Lo fa per affermare se stesso. Per sfidarsi. Per curiosità e irrequietezza, per tenere sotto controllo un disagio, per trovare una ragione di vita.
Lo fa essendo disposto a lavorare in modo intensivo (le persone creative sono in genere
workaholic, e il problema non è convincerle a lavorare ma, se mai, a smettere).
Raramente lo fa – su questo tutti gli studiosi concordano – solo per soldi: la motivazione
intrinseca (il senso di gratificazione e orgoglio che ciascuno trae dal proprio saper pensare e saper fare, e dall’essere riconosciuto come persona capace) è, in termini di produzione creativa, molto più potente di quella estrinseca, costituita da premi materiali: la creatività ha una componente epica che andrebbe rispettata, e mai sottovalutata.
  
Fondamentale è l’importanza del contesto nel favorire o contrastare la vocazione creativa dei singoli: e “contesto” significa tante cose. Istruzione e formazione di buona qualità disponibili per tutti, e valorizzazione sociale dell’essere istruiti e formati. Fluidità sociale e meritocrazia. Disponibilità di risorse e di finanziamenti, e trasparenza nell’allocare le une e gli altri. Alta pressione sugli individui perché raggiungano risultati eccellenti, ma disponibilità degli strumenti indispensabili per raggiungerli. Ma anche apertura culturale: si considerino le catastrofiche conseguenze di considerazioni che, ancora nel 2010 un ministro di cui tacceremo il nome, varando una Finanziaria che tagliava i già modesti investimenti nazionali sulla cultura, giustificava la propria scelta a muso duro sostenendo che “la cultura non si mangia”!

E ancora: capacità di integrare conoscenze, esperienze, generazioni, generi.
Diversi studi dimostrano che la creatività dei gruppi non è correlata tanto alla creatività individuale dei singoli partecipanti quanto alla varietà di competenze, esperienze e prospettive che ciascun gruppo esprime nel suo complesso.
 
 In questa logica occorre sottolineare che istituire e promuovere in ogni campo, con forza, un patto generazionale per il trasferimento di conoscenze può fare, per lo sviluppo della creatività, molto più e meglio che un “largo ai giovani” detto così, a prescindere. In altre parole: buttar via l’acqua sporca insieme all’anziano esperto può rivelarsi, nel tempo, una pessima idea.

Ma a questo punto, considerato il carattere pratico che ci proponiamo di conferire ai post di questo blog, passeremo a qualche stimolo per avviare in voi lo sviluppo di facoltà per essere creativi.
Naturalmente i risultati dipenderanno, oltre che dallo zelo che dimostrerete nell’ esercitarvi, anche dalla intraprendenza che vi porterà a ulteriori e personali metodi per evolvere le vostre capacità.
Ricordiamo che abbiamo definito la creatività come la capacità di trovare connessioni nuove e utili, tra elementi distanti tra loro.

Iniziamo quindi con un esercizio classico, che denomineremo “multiuso”:
Elencate almeno 10 impieghi che potete fare di un oggetto di uso comune, per esempio uno stuzzicadenti. Sbizzarritevi nell’immaginare le più creative associazioni fra l’oggetto e i suoi possibili usi, e vedrete che l’elenco si allungherà sorprendentemente!
Passate poi ad altri oggetti (una pipa, una spugna, pile scariche…) e ciò conferirà alla vostra mente elasticità e nuove connessioni di neuroni.

Come secondo esercizio vi proponiamo di prendere una matita e un foglio e di disegnare (va bene anche uno scarabocchio) un nuovo mezzo di trasporto, della forma, dimensioni e materiali che preferite. L’importante è che si possa muovere e trasportare una o più persone. Divertitevi!

Terzo esercizio.
Inventate almeno tre storie (brevi o lunghe, non importa) contenenti le seguenti parole: ritardo - caffè - ricamo – pirata – errore – capovolto – sicuro.

Prendetelo come uno svago: comunque vada sarà un successo!
Ma sappiate che ciò che otterrete dipenderà – più che dalla vostro “talento creativo”, che pure contribuirà in una certa misura – dalla vostra cultura, apertura mentale, predisposizione, stato d’animo, conoscenze tecniche, esperienza, concentrazione…
Le muse vanno in soccorso a chi se lo merita.

L’invito con il quale vi lasciamo è infine quello di privilegiare la frequentazione di ambienti stimolanti e trasversali e a non circoscrivere le vostre relazioni al rassicurante circuito dei “soliti noti”.

Uscite! Osate! Impegnatevi! Sperimentate!
Questo è il momento di sviluppare la vostra creatività.


mercoledì 10 aprile 2013

PENSIERO SISTEMICO


DAL PENSIERO LINEARE AL PENSIERO FLUIDO E CIRCOLARE

Benvenuti, grazie per aver deciso di leggere questo nuovo post.

                                                             VIDEO
                             http://www.youtube.com/watch?v=mft2CgQd2a4

Oggi parleremo di PENSIERO SISTEMICO.


 Viviamo in una società complessa, costantemente caratterizzata da problematiche e contraddizioni.

Alla base di qualunque azione efficace si pone una giusta prospettiva entro cui inquadrare la Realtà: è necessario rivolgere lo sguardo oltre i fattori e gli eventi isolati, per cogliere le articolazioni e le connessioni profonde fra le cose.

Alcune domande per indurci a  riflettere:

·         Perché, a volte, quando stiamo per raggiungere un obiettivo ci sembra che questo ci sfugga? Oppure quando stiamo facendo progressi improvvisamente la tendenza si inverte?
·         Ci è mai capitato di risolvere un problema e che proprio quest’azione pare crearne una sfilza di nuovi ? o che qualcosa che credevamo risolto da tempo, ritorni a farci visita ?
·         perché un gruppo di persone che prese singolarmente sono tutte molto valide, inserite in un contesto collettivo ottengono risultati deludenti?
·         perché se aggiungiamo strade ad una città per fluidificare il traffico, a parità di veicoli questo finisce per peggiorare?

Per poter rispondere dobbiamo sviluppare una capacità di visione globale per cogliere i nessi tra eventi, cause, effetti, relazioni.

 

Solo così possiamo maturare maggiore consapevolezza di cosa causa i problemi, di cosa invece origina il successo e di quali siano i “punti di leva” maggiormente efficaci per generare soluzioni e progressi.

Un utile approccio a tali esigenze è rappresentato dal Pensiero Sistemico.
Sempre più spesso se ne parla, così come si parla di “interventi sistemici” nelle aziende, e molte scuole di business o di sociologia il concetto di “sistemico” viene citato, invocato e avocato sempre più frequentemente.

Ma cosa si intende per Pensiero Sistemico?
Il concetto è complesso, e d’altra parte il pensiero sistemico viene definito proprio per affrontare la complessità della nostra società attuale, che si manifesta a vari livelli.

Possiamo definire genericamente un Sistema come

un insieme di variabili interconnesse

 Alla base di questa definizione apparentemente semplice vi sono alcuni concetti elementari che abbiamo acquisito fin dall’ infanzia: chi di noi non ricorda di aver studiato, già nelle scuole primarie, i concetti di “insiemistica”? In matematica poi abbiamo appreso cosa significa “variabile” (dipendente o indipendente). Cosa siano le “interconnessioni” lo abbiamo intuito sistemando la catena della nostra bicicletta…

Ma possiamo rintracciare evidenti considerazioni riferibili al pensiero sistemico nella più grezza cultura popolare: si pensi a proverbi celeberrimi come “non si possono fare i conti senza l’oste” o “non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca”.

La visione sistemica è frequentemente presente anche in altri e più nobili ambiti, come la letteratura: citeremo ad esempio il poeta John Donne, ripreso anche da Hemingway in un suo famoso romanzo, che scrisse:


“Nessun uomo è un'isola, completo in se stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto. Se anche solo una nuvola venisse lavata via dal mare, l'Europa ne sarebbe diminuita, come se le mancasse un promontorio, come se venisse a mancare una dimora di amici tuoi, o la tua stessa casa.
La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell'umanità. E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: suona per te.”

Introduciamo una semplice metafora che può essere efficace per esprimere ciò di cui stiamo parlando:
Se vuoi pescare non devi concentrarti sul pesce ma saper conoscere il fiume.
Ma allarghiamo la nostra visione: il fiume scorre in una valle (e introduciamo così l’idea di Sistema Complesso) e muta con le stagioni (e con questo abbiamo introdotto il concetto si Sistema Dinamico)!

Vi conforti sapere che il mondo in cui viviamo è un sistema dinamico e complesso!


 In sintesi: il Pensiero Sistemico rappresenta una giusta prospettiva nella quale inquadrare i problemi; esso rivolge lo sguardo oltre gli eventi isolati, cercando invece di cogliere le articolazioni e le connessioni profonde esistenti tra essi.

Abbiamo capito che quello di Pensiero Sistemico è un concetto antico, ma la sua “riscoperta” ampliata e potenziata da un’infinità di studi, teorie, applicazioni operative, è invece tipico degli ultimi decenni, riguarda i settori più disparati: dal benessere individuale alle più evolute teorie di business management.

Peter Senge, uno dei guru della disciplina afferma:
Il pensiero sistemico é un modo di pensare, é un linguaggio per la descrizione e la comprensione delle forze e delle interrelazioni che modellano il comportamento dei sistemi. Questa disciplina ci aiuta a vedere come modificare i sistemi in modo più efficiente e ad agire più in sintonia con i processi naturali del mondo naturale ed economico.  

Sempre Peter Senge:
“Le attività umane sono sistemi ma noi ci concentriamo su istantanee di parti del sistema: poi ci domandiamo perché i nostri problemi non si risolvono mai.”

In altre parole, le logiche lineari sono semplicemente uno strumento inadeguato: per questo motivo il pensiero sistemico le accantona e fonda il suo funzionamento sul “pensiero fluido e circolare”.

Si potrebbe integrare il concetto allargando il campo al pensiero laterale, che ha molto a che fare con la creatività, ovvero con la riconfigurazione delle connessioni del sistema secondo schemi inediti…ecc… ma ciò ci porterebbe fuori tema.
Magari avremo altre occasioni per parlarne.

La maggior parte di noi ha “in embrione” le potenzialità e le capacità di sviluppare Pensiero Sistemico e di applicarlo efficamente nella vita quotidiana, ma trascura di coltivarle e dunque queste rimangono nella fase latente, impedendoci di sperimentarne i benefici.

Perché oggi l’approccio sistemico alla realtà è dunque diventato necessario? Perché le vecchie logiche mostrano i loro limiti?
Se consideriamo quanto sia aumentata la complessità del mondo in cui viviamo, quanto ne siano mutate le dinamiche e le prospettive, potremo trovare molteplici risposte a queste domande.

Sin dalla scuola ci hanno insegnato ad analizzare ciò che è complesso scomponendolo nelle sue diverse parti, perché l’insieme sembra troppo “difficile”.
Così facendo finiamo non solo col perdere la visione complessiva, ma anche il senso, il significato e la portata di quello stesso elemento nel suo contesto: lo osserviamo come se fosse un’entità a sé stante.
Questo tipo di insegnamento è stato per secoli funzionale alla formazione di masse di individui adattabili allo svolgimento di mansioni schematiche e ripetitive, l’esasperazione delle quali è stata raggiunta nella catena di montaggio o in mansioni di tipo impiegatizio e burocratico.

Oggi non è più così: nella società post-moderna in cui la nostra parte del globo si è evoluta, i sistemi umani, composti da persone più consapevoli e culturalmente emancipate, non rispondono più a “regole schematiche” né seguono equazioni o funzioni matematiche a cui sembrava che potessero essere assoggettate.
E’ dunque inefficace analizzarli secondo sequenze di causa-effetto  anziché considerare le molteplici combinazioni di fattori che, influenzandosi gli uni con gli altri, costituiscono il sistema.

A lungo abbiamo condotto il nostro sviluppo come una locomotiva sui binari: bastava che il ferroviere fornisse l’energia al motore e effettuasse la manutenzione della macchina.
Ma la base di appoggio dei binari ha iniziato a diventare sempre più fluida e oggi abbiamo l’impressione che si sia trasformata in un mare agitato.
Possiamo pensare di continuare a condurre una locomotiva in mare aperto?

Questo è uno dei motivi per cui, nella maggior parte delle organizzazioni, utilizzando vecchi metodi e strategie note, che pure in passato hanno determinato il successo, nel risolvere nuovi problemi si rischia di non essere pertinenti, né - tantomeno - efficaci.
Si tratterà dunque di abbandonare la locomotiva e di cominciare a navigare in barca a vela. Naturalmente da ferrovieri dovremo trasformarci in marinai, acquisendo adeguate capacità e competenze.


Non ci inoltreremo nei meandri delle complesse teorie che sottendono il Pensiero Sistemico, ma ci limiteremo a concludere con alcune considerazioni pratiche, utilizzabili nell’ambito della nostra vita quotidiana, soprattutto per quanto riguarda in generale le nostre attività professionali.

Si può facilmente comprendere come, per esempio, un’azienda si possa definire a tutti gli effetti un sistema; lo sono anche una famiglia, una pubblica amministrazione, un’ autostrada, una squadra di calcio.

L’approccio generale è quello che viene di prassi adottato nella implementazione di cosidetti “sistemi di qualità” tipo ISO 9001, o gestione ambientale (14001).
Particolarmente di attualità quello relativo alla efficienza energetica (50001) che, peraltro è fra quelli che si autoripagano in tempi piu brevi…
Qui però dobbiamo  necessariamente generalizzare per comprendere i principi generali e che tutto ciò sottende.

Eccovi dunque alcuni punti che potrete considerare quando - ad esempio - vi si presenterà un problema o vorrete realizzare un progetto:

  1. Determinate quali siano i confini del sistema nel quale si origina un problema o volete collocare i vostro progetto.
Questo è ’ uno degli aspetti più delicati che un “pensatore sistemico” debba affrontare.
Prendiamo ad esempio questa semplice affermazione: “ho svolto male il mio lavoro (causa) e quindi sono stato rimproverato dal capo (effetto)”.
In questo caso, considerare come confini il solo binomio “dipendente- dirigente” può, come evidente, essere non risolutivo e  non prevenire il ripetersi del problema; ciò perché la radice dello stesso può risiedere altrove: ignorare quest’aspetto significa lasciare intatte le cause sottese che non tarderanno a ripresentarsi causando altri guai.

  1. Individuate le connessioni fra le variabili che costituiscono il sistema e come queste interagiscono
Una volta determinati i confini di spazio e tempo occorre individuare quali elementi del sistema sono connessi a quello in esame e che tipo di influenza esercitano.
Quello che dovete ottenere  è un modello dinamico della realtà capace di evidenziarei punti “caldi” in cui è possibile e opportuno intervenire.

  1. Individuate i fattori di leva, efficaci in funzione degli obiettivi che desiderate raggiungere
Lo straordinario vantaggio che un pensatore sistemico vanta nei confronti di un analista lineare è che mentre quest’ultimo concentra la sua attenzione ed i suoi sforzi sul problema e sul suo contenuto “qui ed ora”, il primo individua un punto anche lontano del sistema in base al quale attuare un intervento efficace.
  1. Stabilite una strategia di azione
Che tenga conto di quanto analizzato e dei fattori individuati.

  1. Attuate la strategia e verificatene gli effetti
Per accertarvi della reale efficacia della vostra azione.

  1. Modificate i vostri piani in funzione degli effetti prodotti
Adeguandovi e mantenendo piena consapevolezza di ogni nuova opportunità che le circostanze producono.

  1. Procedete mantenendovi fluidi fino al conseguimento dei vostri obiettivi
Siate dinamici ed elastici, aperti e sensibili, determinati ma flessibili.

Comunque la pensiate, questo modo di procedere è il solo che ci consentirà di essere efficaci e di ottenere risultati duraturi. Non esistono alternative, nello scenario nel quale siamo oggi chiamati a operare.
Se ne sentite la necessità potrete farvi assistere da un esperto che vi accompagni, almeno all’inizio, nella costruzione del vostro percorso.
Non stiamo dicendo che sarà semplice, ma una volta acquisita l’esperienza necessaria potremo considerare quanto la navigazione possa essere ben più gratificante della conduzione di una locomotiva.

Per il momento è tutto.
Vi ringrazio per l’attenzione e vi invito come sempre a intervenire sul blog “ESSERE e AGIRE” per postare commenti, richieste e per partecipare direttamente al nostro progetto.

A presto

mercoledì 3 aprile 2013

E' meglio accendere una candela...


Benvenuti.
Con questo post vogliamo presentarvi un nuovo blog denominato “ESSERE e AGIRE”.

Vi chiediamo il tempo di una pausa caffè, una decina di minuti per comunicarvi qualcosa che ci riguarda tutti. Una pausa per riflettere su ciò che sta succedendo alla nostra economia, alla nostra società - in definitiva a tutti noi - e su quello che noi possiamo fare adesso, subito, per non subire passivamente gli eventi, per reagire attivamente al clima sconfortante che si sta creando.

In conclusione avrete la possibilità di dire la vostra, lasciando un commento che sarà apprezzato, qualunque sia il suo contenuto.

Ma,vi starete chiedendo: di cosa si tratta, concretamente?
Bene, dato che avete deciso di continuare a seguirmi, veniamo subito al dunque.

Inizierò con un proverbio orientale.
“è meglio accendere una candela che continuare a maledire l’oscurità”


Viviamo in un’epoca di incertezza.
I redditi si abbassano, i timori sul futuro aumentano, la politica non sembra offrire risposte alla complessità dei problemi…

Abbiamo l’impressione che stiano venendo al pettine i molti, troppi nodi che in decenni di governi scellerati, strategie inadeguate, scelte sbagliate ecc… si sono aggrovigliati fino a rendere il nostro sistema socio-economico incapace di trovare soluzioni ai problemi concreti.
Per non parlare della situazione ambientale, che pare destinata ad aggravarsi senza rimedio.
Ma non intendo soffermarmi a fare l’inutile elenco delle cose che “non vanno”: ciascuno è perfettamente in grado di individuarle da sé.

Quello che mi preme invece è trovare una risposta alla domanda:
“COSA DOBBIAMO FARE PER MIGLIORARE  E PROGREDIRE?”


E la risposta al momento ritengo di dare è la seguente:
“APRIRE GLI OCCHI A FARE QUALCOSA”

Mi rendo conto di come tale risposta possa apparire semplicistica, ma analizziamone i contenuto.

Per “APRIRE GLI OCCHI” intendo: prendere coscienza della nostra natura, della nostra condizione, delle nostre potenzialità.


Troppi individui sono inconsapevoli di condurre un’esistenza che - per le abitudini acquisite - li allontana da uno stile di vita fondato sul corretto vivere e pensare, generando con ciò una serie di nefaste conseguenze che si ripercuotono oltretutto sul contesto circostante.
Solo “aprendo gli occhi” si possono ri-conoscere le leggi che la natura ci ha assegnato, allontanandosi dalle quali si aumentano le probabilità di condurre un’esistenza insoddisfacente sul piano fisico e mentale, condizionando i risultati su tutti i piani dell’ agire, ivi compreso quello del lavoro o comunque delle proprie occupazioni e delle relazioni umane.

Banalmente, ma non troppo, si tratta di rimetterci in contatto con la realtà a cui apparteniamo, e di armonizzare con essa.
Per cominciare: coltivare la capacità di osservare ciò che ci circonda, comprendere e i meccanismi che determinano le relazioni tra le cose, i rapporti fra persone, la qualità di questi rapporti, l’importanza di tenere un comportamento equilibrato e rispettoso del contesto in cui agiamo, è di grande importanza
E non voglio dire solo per ragioni etiche, ma per ragioni molto pratiche: agire in disarmonia e conflitto non contribuisce certo al raggiungimento dei nostro scopi!

Riprendendo il contatto con alcune buone regole potremo rapidamente migliorare la nostra condizione, la nostra energia e in definitiva creare i presupposti per poter agire al meglio, con coscienza ed efficienza.

APRIRE GLI OCCHI è dunque la premessa fondamentale per poter passare a “FARE QUALCOSA”, con il che intendiamo: agire nella pratica per trasformare la realtà che ci circonda contribuendo concretamente a al raggiungimento di obiettivi che riteniamo necessari per il nostro e altrui benessere.


Sul “COSA fare?” ritengo che si debba innanzitutto porre l’attenzione su ciò che sappiamo davvero fare, o almeno su ciò che sappiamo fare meglio.

Ciascuno di noi ha nel corso della propria esistenza sviluppato delle abilità, delle competenze, delle capacità.
Questo prezioso patrimonio costituisce la vera ricchezza di ciascuno di noi, in quanto è il solo che sia inalienabile e che nessuno vi potrà pignorare!

In alcuni casi - che definiremo “i soddisfatti” – questo patrimonio è stato adeguatamente, (magari faticosamente) impiegato per il conseguimento del proprio successo personale.

Nei casi migliori - che definiremo “i filantropi” - le proprie capacità sono state messa a disposizione per il miglioramento della collettività, per sostenere i bisognosi, per creare benessere diffuso.

Ma, più spesso di quanto si possa credere, tali doti non sono state valorizzate o sviluppate adeguatamente, o magari non sono state pienamente applicate.
E qui si ricade nel caso che definiremo dei “frustrati”.

Normalmente ciò avviene quando il soggetto ritiene di non poter coltivare i propri talenti, le proprie attitudini o le proprie ambizioni, dovendosi allineare a principi dominanti nel nostro sistema educativo quali “dovere”, “modestia”, “pragmatismo”, “realismo” ed altri che spesso non costituiscono altro che convinzioni limitanti.
Tali convinzioni mettono l’individuo in condizioni di contenere il proprio potenziale mentre si dedica ad occupazioni frustranti ma “sicure”, umilianti ma “tranquille”.
A volte la pigrizia e l’inerzia ci inducono a fere scelte comode invece che scelte giuste.

È ovvio che nell’ottica di questo blog per “fare qualcosa” non si intende agire in modo nè “sicuro” nè “tranquillo” ma piuttosto muoversi - magari faticosamente, esponendosi a rischi - alla ricerca di opportunità nelle quali poter effettivamente esprimere il proprio potenziale.
Riteniamo infatti che sia deleterio per l’intero Sistema che esistano chitarristi che svolgono svogliatamente il lavoro di operaio, alpinisti che passano la giornata a uno sportello di banca, potenziali giardinieri che vendono polizze assicurative, abilissimi venditori che lavorano controvoglia potando siepi.
Questo è un problema, una condizione che finisce per danneggiare tutti noi.

Chi esercita infatti le proprie occupazioni senza il necessario coinvolgimento ed entusiasmo produce infatti due effetti indesiderabili:

a)    frustrazone personale che nel lungo periodo logora l’individuo fino alla comparsa di patologie tipiche, generalmente emicranie, gastriti, mal di schiena e altri disturbi ampiamente diffusi, che possono degenerare in alterazioni dell’ umore, ansia, depressione
b)     basso rendimento e scarsa qualità del lavoro e del servizio prodotto, con conseguenze prevedibili sul proprio contesto e, in definitiva sull’intero Sistema di appartenenza.

Riconoscere e coltivare il proprio campo di competenza, sviluppare le proprie attitudini e inclinazioni è dunque non solo un diritto - essendo alla base della autorealizzazione in campo pratico e professionale - ma soprattutto un dovere, in quanto funzionale al raggiungimento di buoni risultati e quindi al miglioramento generale, in un’orientamento a un’idea di bene comune.

Essere soddisfatti della propria vita, evita di creare danno agli altri, oltre che a se stessi!

Ciò è tanto più vero oggi, in un mondo di crescente complessità e competizione, nel quale la mediocrità - in qualunque campo o pratica - determina inesorabilmente la espulsione dal mercato.

Per mantenerci invece nel mercato è inoltre necessario, questo è ovvio, individuare servizi, prodotti attività che incontrino una effettiva domanda, che è come dire - per utilizzare un vecchio detto - che è inutile cercare di vendere frigoriferi agli eschimesi…
Inoltre dovremo considerare come la concorrenza globalizzata renda pressoché inutile fare qualunque cosa che un cinese, o un’indiano, possano fare al posto nostro.
Ma di questo avremo modo di parlare.

E qui, dopo esserci chiesti “cosa fare” ci dobbiamo porre un’altra importante domanda: “COME farlo?”
Innanzitutto, rispondiamo noi: farlo BENE, con la competenza e qualità che possono derivare, come dicevamo pocanzi, solo dalla passione e dalla preparazione.
È dunque finito il tempo di un Sistema in espansione in cui bastava “provarci” mettendoci un po’ di buona volontà per trovare spazio e ricavare reddito dalla propria attività.

Ma non basta.
Sarà anche indispensabile recuperare una sorta di rigore e di rispetto delle regole, in definitiva di etica condivisa.
Ciò non tanto per questioni “morali” di cui non intendiamo trattare, essendo la morale soggettiva e intimamente strutturata, ma per questioni estremamente pratiche.
Solo in un quadro di riferimento fondato su regole virtuose e sul rispetto delle stesse è infatti possibile creare efficienza, meritocrazia, emergenza dei talenti e gratificazione dell’ impegno: in definitiva, risultati.


Diversamente saremmo destinati a soccombere, non solo come singoli ma in un inesorabile destino di declino collettivo.

Dunque ciascuno di noi si chieda innanzitutto: Come mi posso collocare?
Fra “i soddisfatti”? oppure fra i “filantropi” o invece fra i “frustrati” o peggio fra i “depressi”?

Nei primi due casi, soddisfatti o filantropi che siate, avrete comunque davanti a voi le sfide che i radicali mutamenti in corso stanno ponendo e riteniamo che dovrete perlomeno:

1)  aggiornare costantemente le vostre competenze e le vostre conoscenze, entrando in un’ottica di “formazione permanente” e rinnovata curiosità.
2)  entrare in relazione con una rete di contatti che vi consenta di operare in un network qualificato ed efficiente.
3)   Sviluppare le vostre capacità di adattamento ai cambiamenti, considerando l’ipotesi di adeguare o addirittura trasformare radicalmente le vostre abitudini, i vostri progetti, il vostro lavoro.

Vedremo insieme come affrontare queste tematiche, confrontandoci e scambiandoci esperienze, proprio nell’ambito di questo blog.

Nel caso in cui invece apparteniate alla categoria dei frustrati, allora dovrete innanzitutto iniziare a coltivare i vostri desideri e le vostre vere aspirazioni, in quanto solo così potrete acquisire quell’ entusiasmo indispensabile per raggiungere qualunque risultato e obiettivo.
Avremo senz’altro modo di parlare anche di questo: ESSERE e AGIRE si mette infatti a disposizione come strumento di scambio e condivisione anche di questi argomenti.

Fare qualcosa, abbiamo detto, e farlo al meglio.
Alla domanda “QUANDO farlo?” la risposta non può che essere: ADESSO.  Subito. Ora.


Ecco dunque il senso di questo blog: contribuire, nei modi e nei termini che ci saranno consentiti - e mettendo a disposizione ciò di cui disponiamo - ad arginare la deriva che ci minaccia, nella consapevolezza che, dopo aver “aperto gli occhi” possiamo e dobbiamo rimboccarci le maniche e  “fare qualcosa”.

Il tutto comunque – è importantissimo sottolinearlo - nell’ ottica della assunzione di RESPONSABILITÀ personale da parte di ciascuno.
Qui non troverete ricette o formule magiche ma solo indicazioni su strumenti che saranno efficaci quando li applicherete nella VOSTRA realtà.

Abbiamo tratteggiato le nostre intenzioni e il nostro approccio.
In questo blog saranno postati sostanzialmente:

-         spunti per una riflessione sull’ ESSERE e sull’ AGIRE, concetti, strumenti e tecniche per migliorare se stessi, progettare e raggiungere obiettivi

-         case history che consideriamo interessanti o esemplari, oppure idee, proposte e progetti che potranno liberamente essere sviluppati e attuati con la partecipazione di coloro che sapranno realizzare un’opportunità, piccola o grande che sia.

Non dovete decidere adesso se continuare a seguirci, interessarvi ai nostri sviluppi e partecipare a ciò che sarà proposto.
Potete invece, dopo che ci saremo lasciati, riflettere liberamente su ciò che avete ascoltato.
Mentre siete in auto, diretti verso le vostre occupazioni, o mentre passeggiate tranquillamente, pensate a quanto potrebbe esservi utile ampliare la vostra rete di contatti e relazioni entrando in un network orientato positivamente a migliorare il vostro ESSERE e a elaborare proposte e programmi che potrebbero vedervi AGIRE da protagonisti.

Ci piacerebbe comunque che partecipaste al nostro blog suggerendo su questo post una risposta a quattro semplici domande:

COSA POSSIAMO INIZIARE A FARE?

COSA DOBBIAMO SMETTERE DI FARE?

COSA POTREMO FARE DI PIÙ, O MEGLIO?

COSA DOVREMO FARE DI MENO?


Per il momento è tutto.
Vi ringraziamo per l’attenzione e attendiamo dunque i vostri interventi sul blog “ESSERE e AGIRE” per postare, oltre alle risposte alle QUATTRO DOMANDE di cui sopra, commenti, richieste e per partecipare direttamente al nostro progetto.

Concluderò con un altro detto orientale:

“non importa il punto in cui ti trovi ma la direzione in cui stai andando”

ESSERE E AGIRE è nato per trovare la strada giusta e vuole camminare insieme a voi.